"Quanto sei commerciale" 🤦🏼♀️
Come barcamenarsi sapientemente tra il catalogo di Mubi e un album di Taylor Swift.
Hello common people, come state?🌸
Finalmente è arrivata la primavera, la birretta post-lavoro, il cappotto leggero. Sono forse tutte queste cose, o un mix tra loro, la felicità? Non so dare una risposta, ma quando sento quel profumo di sole dopo le 18 e l’aria fresca seduta a un tavolino per strada sento radicare la serenità - che forse non è felicità - ma, chiedo: cosa ce ne facciamo di qualcosa di momentaneo e sfuggente - ad alto volume - quando possiamo convivere con una sensazione più a lungo - soffusa e a bassa voce - e a lunga scadenza?
Digressione filosofica a parte, eccoci con una nuova newsletter!🌸
“I wanna live like common people” 🎵
L'altro giorno mi è capitata tra le orecchie Common people dei Pulp, un gruppo che confondo sempre, soprattutto durante un gioco che io e il mio ragazzo ci siamo inventati quando sentiamo una canzone dentro un negozio o un locale.
La scena é sempre la stessa: "Chi sono questi?", mi chiede lui. Nella mia mente si materializzano tre grandi alternative con cui rispondere. Abile come un giocoliere sfodero, nel seguente ordine: Arcade Fire, The National, Talking Heads. I Pulp non mi vengono mai in mente, per questo quando ho sentito quella canzone l'ho subito condivisa su WhatsApp a Francesco. Quasi fiera di finalmente riconoscerli e in un certo senso apprezzarli.
In tutta risposta mi arriva un: “Come sei commerciale, ce ne sono altre molto più belle”. Lui scherza - lo fa sempre - e lo fa perché sa che mi tocca nel vivo. Mette il dito in quella parte di me un po’ radical chic (odio usare questa parola, btw), una ferita aperta, che mi fa barcollare consapevolmente tra l’avere un certo tipo di interessi culturali e la totale dipendenza da contenuti trash, usa getta ma vitali per rimanere sana mentalmente.
Essere commerciale. Ma che vuol dire? Direi, in parole semplicissime, che è l’aggettivo - dal valore comunicativo tra il giudicante e l’altezzoso - che si usa per identificare chi ha un gusto “di massa”. Un’etichetta sociale che tanti rifuggono affinando e ingentilendo i propri interessi e hobby e punteggiando qua e là la propria playlist di Spotify con artisti con appena 100 ascolti mensili. Ma facciamo qualche esempio concreto.
I non commerciali non guardando serie e film da piattaforma (preferiscono vedere il cinema con il proiettore a casa e in lingua originale). Nel caso in cui invece dovessero cedere al grande peccato della visione tramite supporto televisivo, lo farebbero rigorosamente e solo su Mubi, OVVIO. Probabilmente sarebbero gli unici a conoscere la filmografia di quel regista uzbeko morto suicida presente solo nel catalogo della piattaforma più radical chic possibile (nessuna offesa, ce l’ho anche io eh).
Più il gruppo musicale, l’hobby (tipo quelli che fanno “circo”, ma seriamente?) , il film o la serie tv che ci piace è sconosciuto alla folla, automaticamente siamo più interessanti, più fighi, più ricercati a coloro che hanno avuto la sfortuna di sentirci sciorinare la bellezza, profondità, emozioni che quella determinata scelta atipica ci ha trasferito.
Meno si è commerciali, insomma, meglio è. O questo è quello che si crede, o lo crede quella fetta di persone che quando dici: “Che bella la canzone di X o che bello il film di Y”, ti risponderanno con un nome di un film o con un album semi inesistente che anche il suo autore si è dimenticato di aver ideato. Perché? Solo per sentirsi un po’ meglio di te: non c’è fine educativo, non c’è voglia di condividere (non in tutti i casi almeno), c’è solo necessità di dire “io ne so di più, io sono una persona diversa da te”. Naturalmente, non voglio generalizzare: la discussione è aperta. Ma pensiamoci. Perché lo facciamo (io compresa temo di esserne vittima di tanto in tanto)? Forse abbiamo paura di essere come gli altri? Abbiamo avuto qualche trauma per cui dobbiamo essere sempre speciali agli occhi altrui?
💡 Se Cose, a caso ti sta svoltando la vita, condividila con amici, parenti, conoscenti, tinder date o con la portinaia. In regalo: il mio amore!
Ogni tanto quando mi interfaccio con qualcuno che deve sempre farti sentire una persona banale, dai gusti poco sofisticati, la mia faccia parla. E fa più o meno così:
Perché ci piacciono le stesse cose? 🔎
Ma veniamo a noi. Vi chiederete perché iniziare una newsletter parlando di gusti musicali commerciali e piattaforme radical chic? Il motivo è che qualche settimana fa ho letto la newsletter di Andrea Girolami, Scrolling infinito, che trovate qui su Substack, tra l’altro. Tutto partiva con una grande domanda: “Perché a tutti piacciono le stesse cose?”. Effettivamente, è una bellissima domanda.
Come è possibile che una serie riscuota grande successo e possa piacere a una fetta spropositata di pubblico mentre altre, magari meglio concepite, scritte e girate, siamo destinate alla visione di una piccola manciata di spettatori alla ricerca di contenuti di qualità e poco “mainstream”? In poche parole, Girolami spiega che: “(da un lato) la frammentazione dei consumi produce celebrità note solo in determinate bolle online, dall'altro, si verifica l'effetto contrario: l'omologazione. Di fronte a infinite scelte, tendiamo a guardare, leggere e ascoltare tutti le stesse cose”.
E la colpa sembrerebbe essere proprio del feedback loop, in parole semplicissime: un meccanismo per cui ci lasciamo indirizzare dai pareri positivi o negativi altrui. Se dobbiamo scegliere una serie nuova o ascoltare un artista sconosciuto su Spotify ci baseremo sul consiglio di una persona che conosciamo e stimiamo. Effettivamente non ci metteremmo mai ad ascoltare tutte le canzoni presenti su Spotify o a vedere tutte le serie presenti su Netflix prima di prendere una decisione, o no?
In quest’ottica, lasciarci aiutare dalla scelte dei nostri simili aiuta. Allo stesso modo, se rientriamo tutti nelle logiche del feedback loop, il rischio è quello di premiare sempre chi è già in una posizione di vantaggio e lasciare indietro i prodotti meno “commerciali” appunto. Come scrive Girolami: “Il divario tra contenuti di successo e quelli di nicchia continuerà ad essere enorme, anzi diventerà ancora più estremo”.
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Team nicchia o team massa? 🤔
E allora mi sono chiesta: chi ha ragione? Come usciamo da questo dilemma? Personalmente, mi posiziono a metà: gioco sapientemente con contenuti più di nicchia e altri totalmente commerciali. Forse perché mi interfaccio con persone a metà come me? E i loro feedback mi aiutano a mantenermi su questa linea immaginaria in cui non sono una persona al 100% “mainstream”? Ma esiste o vogliamo fare esistere una differenza tale da dover apporre un’etichetta?
C’è da dire che, nonostante tutto, io mi sento bene perché mi sento rappresentata: guardo i film su Mubi (in televisione, non con il proiettore, non più di due volte al mese perché non sono così intelligente), seguo la mia nicchia di contenuti relativa ai miei interessi specifici ma al tempo stesso leggo, guardo e consumo contenuti di massa (serie su Netflix, film che proiettano nei MULTISALA (!!!!), uno dei miei guilty pleasure è Selling Sunset e ho un passato da spettatrice di Uomini e Donne (già). E quindi? E quindi niente, sono Alice. E se i miei gusti impuri non aggradano, è un problema che non mi riguarda. Ma a questa consapevolezza ci sono arrivata gradualmente.
Tanti anni fa, un ragazzo con cui uscivo mi aveva obbligato a togliere dalla sua cronologia di Spotify (non so se è ancora così ma in passato si poteva vedere in real time che cosa stanno ascoltando i tuoi amici sulla piattaforma) le canzoni che avevo aggiunto da ascoltare a casa insieme. Non voleva che nessuno pensasse che potesse ascoltare Ed Sheeran. Ostacolavo in un certo senso la sua immagine di ragazzo di nicchia, tutto involuto in se stesso, e creavo una macchia indelebile che non poteva permettersi.
Se doveste mai incontrare personaggi del genere, fate come me, seguite il consiglio di Gandalf ne “Il signore degli anelli” (riferimento abbastanza di nicchia?”):
FUGGITE, SCIOCCHI!
🍭Melting pot
Letture, trend e ascolti
✨ Moda-Match: l’abbigliamento è un fattore determinante in amore? Lo stile di una persona può farci avvicinare o essere un repellente? Vediamo un po’.
✨ Qual è il vostro comfort show e perché ha il magico potere di farvi mettere in pausa il presente ed entrare in un mondo in cui potreste vivere tutto il giorno come avvolt* in una coperta? Ecco perché ognuno di noi ne ha almeno uno.
✨A proposito di film lo conoscete tutti Letterboxd, il social network del cinema? Questo articolo de Il Post racconta perché è tornato attuale.
✨Una recensione di Priscilla, l’ultima fatica di Sofia Coppola. L’articolo su The Vision è firmato da Alice Olivieri.
✨ Segnalo garçon francese (si può dire bono o lo sto oggettivando?) da seguire per far capire a un ragazzo cosa vuol dire avere stile.
✨Bello il second hand, eh. Ma ora che tutti lo stiamo acquistando e vendendo, pare non sia più così sostenibile. Facciamo chiarezza.
Film, a caso 🎞️
La mia lista di marzo
How to have sex
Nocturne
Eternal sunshine of the spotless mind
Blue Valentine
The voyeurs
Il giardino delle vergini suicide
Priscilla
Anatomia di una caduta
American Fiction
La zona d’interesse
Spaceman
Ma quindi se io vi consiglio questi film e voi li guardate perché vi fidate del mio giudizio: è in atto un feedback loop? 😱
Et voilà.
Questo mese un po’ prolissa, no? Ma se siete arrivat* fino a qui: grazie grazie grazie🥹
Alla prossima con una nuova newsletter! 💖
Baci stellari, esco di scena!
Come sempre per idee, consigli o altro vi leggo nei commenti e sulla mia mail: aliginosa@hotmail.it.
Se Cose, a caso ti sta svoltando la vita, condividila con amici, parenti, conoscenti, tinder date o con la portinaia. In regalo: il mio amore! 💖