Ciao a tuttə! Sembra passata una vita dall'ultima newsletter anche a voi? Come state?
Io sono reduce da una settimana di lavoro in fiera tra strette di mano, interviste, paresi facciali e un certo apprezzamento per le mie doti da interprete, clown, addetta alle public relations. Insomma, bello eh, ma menomale che è finita.
Vi dirò, ogni anno quando mi capita di partecipare a questa tipologia di eventi, ho modo di osservare davvero le persone. Mi trovo davanti uno spaccato variegato ma veritiero di come funziona il mondo. Durante una fiera, soprattutto come giornalista o addetta alla comunicazione, ci si ritrova a gestire una mole di emozioni disparate, dover essere pimpante ma alla stesso tempo non riuscire più a connettere un neurone all'altro dopo tre ore. E in tutto questo entrare in sintonia con le persone é la chiave.
Quindi, può capitare che ci si trovi davanti persone che mentre parli si guardano intorno, altre che fingono di non ricordarsi di te annualmente (così giusto per mantenere le distanze) e poi quelli completamente irriconoscenti. Quest'ultimo caso devo dire che é quello che mi crea un’irritazione cutanea più pervasiva. Con questo non voglio dire che se metto una buona parola o se creo possibilità che prima non c'erano in automatico pretendo un riconoscimento. Ma almeno un grazie.
Perché nella vita non si sa mai se domani quella persona potrà ancora avere un ruolo chiave nella direzione della tua vita. CONSIGLIO NON RICHIESTO: Ricordatevi sempre delle persone che incontrate nel vostro percorso, lavorativo e non. Non é scontato che qualcuno si accorga di voi. Sì, sono poco permalosa.
Ammalarsi per la fama 💊
Immaginate di voler sempre essere al centro dell’attenzione: essere guardatə per strada, essere al centro di ogni discorso durante le cene con gli amici o addirittura diventare il volto di qualche campagna per un brand o essere intervistatə per un magazine. Magari qualcunə di voi ambisce a tanta notorietà, ma sarebbe dispostə a indursi una malattia per captare l’attenzione altrui?
Questo pensiero martellante mi ha accompagnata tutta la sera mentre e dopo aver visto Sick of myself (2022, Kristoffer Borgli). Una coppia: lui un artista in erba con qualche contatto nel mondo dell’arte e qualche mostra all’attivo, lei invece lavora in un bar e conduce una vita piuttosto normale. Un giorno le si presenta però la possibilità di far parlare di sé: assiste una signora ferita che entra insanguinata all’interno del locale. Peccato che nonostante lo racconti a tuttə, l’hype per la notizia si dissolve in breve tempo e lei torna nell’ombra. Ma la successiva follia è proprio dietro l’angolo: scopre l’esistenza di un farmaco russo illegale che causa effetti indesiderati e devastanti al volto.
“Ma parliamo di me”
In breve tempo Signe diventa letteralmente un mostro, è deformata: naso e occhi gonfi, perde i capelli, ha piaghe sulla pelle. Eppure finalmente sa di essere qualcuno: cammina tronfia per strada, oggetto dello sguardo altrui, viene reclutata da un’agenzia di talenti per persone con “disabilità”, si presta per interviste sulla sua malattia misteriosa che non è possibile diagnosticare (anche perché nonostante gli effetti collaterali, non si fa mai visitare dal medico).
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Un narcisismo indomabile che sfocia nella pazzia ma che per quanto sembri impossibile che si verifichi nella vita di tutti i giorni, purtroppo non è così. Signe è in perenne lotta con il proprio compagno per chi è più famoso, per chi farà più parlare di sé, ma anche con i suoi amici: il vittimismo della protagonista raggiunge vette altissime, tutta la conversazione deve rimanere entro i confini del suo aspetto e del suo dolore. I livelli di tossicità non solo delle pastiglie che Signe ingerisce ma anche delle relazioni che si trova a portare avanti sono insostenibili.
Dire che questo questo film mi sia piaciuto è riduttivo, l’ho adorato in ogni momento perché mi ha reso consapevole delle molteplici sfaccettature della psicologia umana, dei suoi angoli bui e della necessità che abbiamo di dimostrarci che siamo speciali, che siamo unici, che siamo diversi. Ma lo siamo davvero? Possiamo accontentarci di essere semplicemente chi siamo?
Un po’ come quel Barone di Münchhausen, da cui la sindrome omonima, che sembra fosse solito raccontare storie inventate e inverosimili su se stesso. Storie talmente bizzarre, a quanto pare, da confluire nell’opera Le avventure del barone di Münchhausen (1785) di Rudolf Erich Raspe.
Qualche secolo dopo, nel 1951, questi racconti catturarono l’attenzione del medico Richard Asher che descrisse i sintomi di una nuova sindrome in cui i pazienti si inventavano storie, segni e sintomi di malattia. Quella sindrome venne battezzata come sindrome di Münchhausen da Asher stesso in un articolo del 1951 sulla rivista The Lancet.
Il Barone di Münchhausen, senza saperlo, era destinato a far parlare di sé per sempre.
🍭Melting pot
Letture, trend e ascolti
✨ Anche tu nell’ultimo anno hai partecipato a un corso di ceramica, ricamo, tufting o qualsiasi altra attività artigianale? Bene, è normale soprattutto se lavori in ufficio.
Il Post come sempre fa il punto su questa nuova MODA.
✨”Scrivimi quando arrivi a casa” è la frase di chiusura di qualsiasi mia uscita sia con amiche sia con amici. Mi fa sentire meglio anche se, soprattutto i miei amici, mi prendono in giro perché è una cosa da “mamma chioccia”. Eppure, è una forma di affetto, quindi se ve l’ho detto almeno una volta sappiate che siete davvero importanti. Detto questo, è uscito un articolo di Claudia Torrisi su Internazionale in cui parla della sua esperienza. L’articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla. L’ho trovato molto giusto.
✨L’eterna crisi del millennial. Serve altro per farvi leggere questo articolo pubblicato su siamomine?
✨Esiste un bar ispirato a Sex and the City a Barcellona. Io non vi ho detto niente.
✨ Ho scoperto il profilo di questo ragazzo “molto giusto” su Tik Tok. Ragazze giratelo ai vostri boyfriend e ragazzi date un’occhiata. Secondo me se siete alla ricerca di qualche spunto per un outfit dalle vibes anni 90, non potete non seguirlo.
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Questa newsletter volge al termine!
Ci risentiamo a marzo quando sarà già primavera (🌼🌼🌼).
Come sempre per idee, consigli o altro vi leggo nei commenti e sulla mia mail: aliginosa@hotmail.it.
Vi auguro una buonissima giornata, proprio così come Jason Momoa 👀👀👀
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