Ridateci il bar ☕
Basta agli *specialty coffee, alle *tariffe giornaliere e all'*acqua a pagamento
Sono tornata, ciao! 🫶 Come state?
Eccoci con una nuova newsletter di Cose, a caso. La sto scrivendo, come nel 90% dei casi, da uno di quei bar di quartiere in cui è facile aver voglia di tornare, ancora e ancora. Mi appollaio nel mio angolo, spalle al muro, con vista sulla porta scorrevole della toilette (prospettiva migliorabile), ma con un punto di vista ampio: vedo chi entra, chi esce, il retro del bancone. E posso starci quanto mi pare.
Uno di quei posti in cui già sanno chi sei, cosa prenderai in base all’orario del giorno in cui arrivi, in cui fai da guardia se la barista vuole uscire a fumarsi una sigaretta, insomma, uno di quelli che non è più scontato trovare in giro. Almeno a Milano.
Questo mese si parla di bar: la mia più antica e verace passione, since 1992. ✨
💡 Se Cose, a caso ti sta svoltando la vita, condividila con amici, parenti, conoscenti, tinder date o con la portinaia. In regalo: il mio amore!
Cercasi disperatamente un bar 🔮
Andare al bar non è semplicemente prendere un caffè ma è un rito. Ho come la sensazione che sia una scatola magica dalla quale si sprigiona una forza. Ci entri e puff: tutto sembra più semplice, ti puoi fermare a riflettere e hai modo di essere spettatore e guardare un po’ gli altri. Un microcosmo dentro al mondo.
Quando ci vado, che sia da sola o in compagnia, ho automaticamente più energia e voglia di “fare”: ci vado spesso per lavorare la mattina, per scrivere questa newsletter, per passare del tempo con le persone a cui voglio bene. Ci ho studiato gran parte degli esami universitari, preparato colloqui, letto libri, iniziato a pensare ai miei progetti. Non è un’esagerazione, mi succede davvero. Un paio d’ore, non di più, ma essenziali in cui nessuno pretende nulla da te.
Poi, qualcosa è cambiato. Si è inceppato un ingranaggio nel sistema. Aprire un pc su un tavolo è diventato un sacrilegio, stare per più di 15 minuti a guardare il vuoto giustifica il barista di turno a chiederti insistentemente “Desidera altro?” o a venire a ritirare tazzina e piattino, che nel linguaggio non verbale dei baristi significa: “Levati dalle palle, che devo fatturare”.
Quando mi ritrovo in una situazione del genere, il bar mi sembra un estraneo, un luogo che mi respinge e in cui sono solo una fonte di disturbo. Ma sono io stupida, i posti così si riconoscono da subito, appena si varca la soglia.
Ecco una breve guida:
Non ti saluta nessuno, o se si sente un “Buongiorno” o un “Ciao” è intriso di una percentuale di scazzo del 99%.
Il/la barista non ti guarda negli occhi e ti chiede subito se hai intenzione di lavorare e se ti siedi (perché nel primo caso si applica una tariffa che oscilla tra i 6-12 euro in base al tempo in cui occuperai il posto).
Ti fanno pagare il servizio al tavolo anche se hai portato personalmente il caffè dal bancone al tuo posto.
L’acqua non è gratis: il bicchiere costa almeno 0,50 centesimi e se chiedi una bottiglietta da mezzo litro riceverai la versione in vetro da 0,25 alla modica cifra di 2,50 Euro.
Sulle pareti dietro al bancone si trova una lista infinita di almeno 50 caffè diversi provenienti dalle regioni del mondo più impensabili. Maledetti specialty coffee e chi vi ha inventati. Una scusa infondata per farti pagare qualsiasi cosa almeno 1 euro in più, se va bene.
Funziona come una calamita per turisti armati di smartphone e macchina fotografiche analogiche e si troverà a qualsiasi ora del giorno una fila immensa.
C’è la possibilità che non servano zucchero, né bianco né di canna, perché altererebbe le proprietà del chicco di caffè. Urlo.
Sul tavolo, subito dopo l’ordine, compare un bigliettino con la comanda da riportare in cassa per pagare. Inorridisco. (Peggio ancora è quando ti fanno saldare il conto al volo subito dopo averti portato la colazione).
Il menù QR CODE!!!!!!
L’auricolare all’orecchio e la comanda presa sul gestionale elettronico.
I dolci e brioche con creme e decorazioni dai colori fluorescenti. Torte alte diversi centimetri, cookies duri come il marmo, il tè caldo a 5 Euro.
Se vi doveste trovare in un bar che possiede almeno due di queste caratteristiche, fuggite sciocchi, come direbbe Gandalf (scusate la citazione nerd).
Che fatica bere un caffè🥵
Tutto è da prenotare, da attendere, da arrivare prima altrimenti c’è fila. 2,50 una brioche e 2 euro un cappuccino da mangiare in piedi RIGOROSAMENTE perché diversamente li pagheresti il doppio. E quello che dovrebbe essere il rito più bello del mondo diventa l’ennesima ansia da performance. Non ovunque per fortuna, ma la tendenza che si nota non è per niente rincuorante.
Ammetto ogni tanto di sentirmi in balìa delle logiche mordi e fuggi della città. Capisco da un lato la necessità di occupare coperti e fare cassa, per carità. Dall’altra penso che si torna sempre dove si è stati bene e questo molto realtà non lo hanno ancora capito.
In un mondo che è quello che è, ridateci i bar. Rimanete autentici, datevi una calmata ma soprattutto non stateci addosso. Amen.
5 bar “Cose, a caso approved”
Caffineria, sia quello in piazza Morbegno (Pasteur), sia quello in via Prandina (zona Martesana)
Babitonga Cafè c/o Fondazione Feltrinelli (viale Pasubio)
Long Song Books & Café in via Stoppani (Porta Venezia)
Upcycle, dalle 9-12 e dalle 15-18, via Ampère (Piola)
Bovisa Urban Garden, via Broglio (Bovisa)
🍭Melting pot
Letture, trend e ascolti
✨A quanto pare siamo ossessionati dallo stile personale e dal vestirci bene. Anche tu hai video salvati su Tik Tok di abbinamenti che sai già che non metterai mai ma ti piace fantasticare e guardi i weekly outfit di perfetti sconosciuti? Outpump spiega il fenomeno.
✨ Tutti avete sentito parlare del film Perfect Days, no? Un inno al valore delle piccole cose quotidiane, mi pare di aver letto da qualche parte. Non l’ho ancora visto, ammetto, ma sono molto curiosa. Un solo dubbio: leggo pareri decisamente contrastanti. Se volete chiarirvi le idee, ecco due articoli con due visioni leggermente discordanti: quella di Rivista Studio e quella di Lucy. Sulla cultura.
✨Rimanendo in tema cinematografico: sta facendo parlare di sé la “nuova generazione” di attori irlandesi. E che attori irlandesi mi sento di dire. Vi faccio qualche nome: Andrew Scott (l’hot priest di Fleabag) e Paul Mescal, quello di Normal People per intenderci. Senza dimenticare le vecchie glorie, Cillian Murphy e Colin Farrel. E molt* altr*.
✨Parliamo di dry January. Questa necessità di dire stop all’alcol è diventata cool e va a braccetto con la sober curiosity e il dry dating. E se a farlo è anche Lana del Rey, beh chi siamo noi per dire di no? Lo spiegone del trend, lo trovate qui.
✨Quando ho visto questo video, ho smesso di respirare per qualche secondo.
✨ Se volete ridere un po’, nel tragitto da lavoro a casa o viceversa, vi consiglio anche due puntate del podcast Tintoria con Daniela Collu e con Pietro Castellitto.
✨ Se invece apprezzate il format delle video-interviste, dovete ASSOLUTAMENTE conoscere CHICKEN SHOP DATE. Episodi di 7 minuti, tutti ambientati in un fast food (dove si mangia pollo fritto), per un “appuntamento” insolito tra Amelia Dimoldenberg e personaggi più o meno famosi. Tra questi vi consiglio il date con Paul Mescal, Jennifer Lawrence, Ed Sheeran e Rosalìa. Refreshingly awkward.
Et voilà! Questa newsletter si chiude qui👋
Ci risentiamo a febbraio!
Mi raccomando diffidate dai bar con il menù QR CODE. Io vi ho avvisato! 💸
💡 Se Cose, a caso ti sta svoltando la vita, condividila con amici, parenti, conoscenti, tinder date o con la portinaia. In regalo: il mio amore!
La contrarietà al QR Code è un po’ da luddista. Ahimè, mi trova completamente d’accordo.
(PS, grazie per i consigli sui bar. Li proverò tutti, la prossima settimana, durante la mia gita a Milano)